Intervista per le ACLI

IL ‘MANAGEMENT NONVIOLENTO’: QUANDO IL PROFITTO È IL BENESSERE DEL LAVORATORE

 

Intervista a Nino Messina, di Carlotta Susca

 

Nino Messina, Segretario Generale dell’Ospedale Generale ‘F. Miulli’, non si accontenta di una carriera in campo dirigenziale, lui è impegnato da anni alla ricerca di un nuovo management. Manager industriale, consulente aziendale, già direttore della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, docente al Politecnico di Bari, Nino è soprattutto marito e padre di Ornella e Simone, un uomo per cui il sabato e la domenica sono consacrati alla famiglia e che nessun impegno può allontanare da questo appuntamento fisso, necessario per non perdere mai il contatto con la quotidianità, per non correre il rischio di essere solo un Manager.

 

L’obiettivo di questo uomo inarrestabile – e sorprendentemente sempre pronto ad accogliere gli interlocutori con un sorriso e un abbraccio – è quello di occuparsi della formazione dei manager, di proporre un modello di gestione aziendale di stampo umanistico che renda le logiche economiche subordinate all’attenzione all’uomo, all’ «attenuazione degli spigoli relazionali nella vita lavorativa». Intervistato, Nino ci spiega che il management nonviolento è la risposta alla «ricerca della serenità aziendale, della pace e del benessere sul luogo di lavoro». Un atteggiamento manageriale che si configura come un vero e proprio stile gestionale, a partire dal linguaggio, che deve «favorire il confronto, l’accrescimento reciproco rifiutando l’uso della metafora bellica».

 

Chiediamo dunque a Nino di illustrare la sua idea formativa, mentre lui disegna schemi, traccia punti e manifesta la sua costante attenzione alla concretezza maneggiando oggetti, accompagnando alle spiegazioni chiare e accalorate la gestualità che simboleggia un ancoraggio alla realtà e la profonda convinzione nelle sue parole.

 

Su cosa si basa l’idea del ‘management nonviolento’?

 

Si può riassumere sostanzialmente in tre punti, tutti ispirati dalla lunga vicinanza a don Tonino Bello: il management nonviolento; il management col grembiule; il management della transumanza.

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Il primo punto si riferisce all’idea di don Tonino per cui bisogna sostituire ai Segni del potere il Potere dei segni. In ambito manageriale, così come in tutti gli altri settori in cui ci sono dinamiche relazionali complesse, sono i segni a denotare il potente, e di qui al senso di onnipotenza il passo è breve. Bisognerebbe invece fare uno sforzo di coerenza, di credibilità in cui la gestione delle risorse umane diventa gestione umana delle risorse. Anche se può sembrare un’idea azzardata, si tratta di coniugare  ‘Taylor e Gesù Cristo’: non più cercando solo l’efficienza aziendale ma trovando un equilibrio fra la necessità produttiva e la cura, l’attenzione, l’amore per il dipendente.

 

Di qui l’idea del management col grembiule.

 

Sì, il manager rischia di diventare potente, a volte anche onnipotente, dimenticando che il servizio –  di cui il grembiule racchiude il significato profondo – è la strada maestra.

È necessario non tanto essere vicino al prodotto ma al produttore. Il manager deve ‘comprendere’ chi produce perché non esiste una scissione fra lavoratore e  persona: bisogna ascoltare il dipendente. Il luogo aziendale deve essere il luogo dell’Accoglienza, dell’Ascolto, dell’Aiuto e dell’Abbraccio. Sarebbe auspicabile che l’azienda avesse questa forza di ‘sintesi affettiva’, che si rendesse conto della fondamentale importanza della relazionalità. Il grembiule ha in sé una dinamica di servizio all’uomo, di attenzione alle persone. Di questo mi ero reso conto già lavorando nelle industrie, ma, occupandomi di sanità, mi sono accorto che è ancora più vero in quelle strutture in cui si offre un servizio all’uomo, in cui sono proprio le persone a fare la differenza: per questo è importante che il manager si occupi dei suoi dipendenti e del loro benessere, perché è il loro servizio al paziente, il ‘prodotto’. Non si può ‘produrre’ benessere senza viverlo.

 

Ed è proprio dirigendo il ‘Miulli’ che hai messo in atto delle strategie per favorire il benessere del dipendente.

 

Sì, innanzitutto mi sforzo continuamente ad essere sempre disponibile cercando di eliminare i filtri e invitando al ‘tu’, cerco di non essere solo il ‘Direttore’ ma anche il ‘formatore’: raccontandomi metto in comune proprio questa ricerca di un nuovo management. Il veicolo importante è la comunicazione. Qui la creatività gioca un ruolo importante per cementare e rinsaldare uno spirito di gruppo e di senso comune. Due concerti e uno spettacolo teatrale, intesi come momenti extralavorativi, hanno favorito quello spirito e hanno fatto circolare opinioni e approfondimenti al riguardo. Altre iniziative sono in programma tutte intese a sviluppare quella che io chiamo la ‘circolarità emozionale’.

 

Di qui la terza idea, quella del management della transumanza.

 

L’idea è quella di favorire il cambiamento attraverso la forza della condivisione e, quindi, della progettualità, attraverso la creatività. Bisogna tendere a qualcos’altro, continuare ad avere in mente che ‘un giorno tutto sarà bello’. Anche se questo ideale si scontra con le difficoltà del quotidiano, don Tonino Bello ci insegnava che ‘bisogna saper contemplare la povertà del raccolto’.

Il motivo per cui questo approccio è vincente e che comunque genera un aumento della produttività: si pensi al caso della Toyota. Pur avendo incrementato i controlli di qualità e la filosofia della ‘total quality’, ha – di fatto – trascurato il fattore umano. Due anni fa la società giapponese ha dovuto richiamare migliaia di automobili dal mercato!

Con una maggiore attenzione alla vita l’azienda diventa più attraente, e anche più produttiva. La responsabilità sociale è da vivere, da cercare nella quotidianità, magari solo dopo da certificare. Bisogna attuare una rivoluzione alla ricerca di un ‘massimo comune multiplo’. Un formula non collegata alla matematica ma alla vita attraverso gradi di evoluzione nei quali la ‘mano d’opera’ diventa ‘mente d’opera’ e, al multiplo più infinito, ‘cuore d’opera’.

Forse la strada maestra è proprio quella di  innamorarsi dell’uomo.

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